La Vaina

La Vaina  (Tratto dal libro: Novelle e Leggende Ossolane di Adolfo da Pontemalio del 1926)

Che cosa sia io non lo so e neanche mi sono mai preoccupato di saperlo; l'importante e che la Vaina esiste nella mente degli ossolani e se esiste nella mente, rifugio dell'ideale che, secondo i filosofi dell'ultimo quarto d'ora, e l'unica realtà reale, si può dire a priori che la Vaina esiste o per lo meno è esistita ed ha donato al nostro dialetto almeno tre verbi uno più bello dell'altro: vainè, svainè e stragvainè, che esprimono tutti l'azione poco simpatica dello strillare dei bambini.

Perché la Vaina amava farsi vedere sotto forma di un neonato in fasce, che andava rotoloni giù per qualche pendioemettendo i caratteristici gridi di: uvee, uvee, e ciò per ingannare le donne, che, credendolo un vero bambino  sgraziatamente cascato dalla culla mentre la povera mamma forse stava falciando un gerlo d'erba nel comunale,accorrevano affannate per salvarlo; ma appena una donna raccoglieva l'involto, invece di trovarsi in braccio un bambino in fasce, si trovava essa stessa tra le braccia d'un biondo giovane libidinoso e se non aveva qualche oggetto benedetto indosso non riusciva a liberarsi; perché il biondo giovane era niente meno che un parente del diavolo.

La Vaina, non solo ingannava e spaventava le donnicciole; ma sapeva molto bene corbellare anche gli uomini ben tarchiati e dallo stomaco peloso.

Un vecchio mi raccontava che quand'era giovane fu tormentato per tutta una notte dalla Vaina.

Partito una sera d'estate per portare sull'Alpe una gerla di vettovaglia, appena fuori dell'abitato, comincia a sentire dei passi come se qualcuno lo seguisse a pochi metri di distanza, si volta indietro non vede nessuno, prova ad accelerare e anche l'essere invisibile accelera, rallenta e anche l'altro rallenta. Per fingere che non ha paura, si mette a fischiare e cantarellare canzonette, incurante del sudore che gli bagna la camicia e il gilè causa la doppia fatica; ma sbigottito sente che l'incognito che lo segue fischia, canta e cammina come lui né più né meno.

La notte è alta, la strada serpeggia nella pineta dove ai raggi della luna è proibito di entrare; egli non sa se proseguire o ritornare sui suoi passi, nel dubbio pensa bene di riposarsi un po' ed anche la perfida Vaina invisibile si riposa, soffia e tossisce come lui.

Dato uno sguardo al nodoso bastone che stringe, coraggiosamente s'interna nella folta pineta. Più nessuno lo segue; ma lontano lontano sente come un soffiar di tramontana, uno stormir di fronde, uno spezzare di rami; lo strano rumore aumenta s'avvicina, diventa tremendo, pare che tutta la cupa foresta si schianti e i tronchi colossali caschino sullo sfortunato montanaro per schiacciarlo, come un topolino.

« Lascia la gerla! Lascia la gerla! » grida una voce; ma egli continua imperterrito il suo cammino.

Il pandemonio cessa ritorna il solenne silenzio interrotto di tanto in tanto dallo stronfiare dei gufi in cerca di preda tra le gole dei monti e d'un tratto su di un muricciolo della strada compare una capace cruvalina piena di buon vino: è l'ultimo tentativo della Vaina, che, sapendo gli uomini tutti un po' deboli per l'almo liquor di Bacco cerca di farlo cadere nel tranello, fornendogli il mezzo di fare gratuitamente una sborgna coi fiocchi; ma egli più forte che mai tira via; mentre la cruvalina trasformatasi in neonato in fasce casca dal muro e rotola per il pendio, emettendo i suoi lamentevoli uvee, uvee, uvee.