I Signori di Lei

I signori di Lei   (Tratto dal libro: Novelle e Leggende Ossolane di Adolfo da Pontemalio del 1926)

Alto e merlato con le grosse  ferriate alle finestre e numerose ferritoie nei muri, su di un poggio tra Varzo e Trasquera, sorgeva un forte castello fiancheggiato da due robuste torri e circondato da una cupa pineta, che accresceva alla dimora l'aspetto misterioso.

Lassù abitavano i Signori di Lei, feudatari potenti della valle di Vedro, la esisteva il tribunale il cui giudice inappellabile e padrone assoluto era l'altero feudatario, la si trovavano le tetri prigioni, dove soffrivano senza conforto e speranza; trascinando le rugginose catene coloro ch'erano caduti in disgrazia del Signore, là risuonavan le grida strazianti dei torturati e la si alzava l'orrida forca dalla quale penzolavano per settimane intiere gli impiccati, che venivano poi rotolati di notte in un abisso, che metteva capo nel fiume sottostante.

Però fra tante dovizie d'armi e di patiboli umani, ai Signori di Lei mancava la Chiesa; la Chiesa che raccoglie i fedeli per ricordare loro che sono tutti fratelli e che bisogna perdonare se si vuol essere perdonati; per cui, quando quei di Lei nelle grandi solennità volevano andare a Messa, o salivano al ridente villaggio di Trasquera, o scendevano nel grosso borgo di Varzo sul cui campanile sventolava il gonfalone di San Giorgio.

Quei superbi Signori non si recavano alla Messa per soddisfare ad un bisogno dell'anima, ne per ringraziare lddio, che usava loro tanta misericordia; ma bensì per far sfoggio di armi lucenti, di fieri cavalli riccamente bardati, di paggi e di scudieri in alta tenuta, per fare ammirare al pubblico le proprie dame vestite di seta ed oro e per ricevere dal popolo quasi spaventato profondi inchini.

Il sacerdote, quando venivano i Signori di Lei alla Messa non poteva cominciare la funzione prima che avessero preso posto nei banchi riservati vicino alla balaustra.

Ricorreva la solennità di Pentecoste e i prepotenti Signorotti di Lei vollero andare alla Messa cantata a Trasquera.

Il tempo impiegato per ben ordinare il seguito fu piuttosto lungo e quando la sonante cavalcata  giunse alla chiesa non raccolse nessun inchino; perchè il piazzale era deserto e gli umili fedeli se ne stavano già nel tempio.

Sull'altare splendevano i ceri, i cantori dagli stalli del coro facevano echeggiare sotto la volta dorata il Gloria in excelsis e i tre sacerdoti avvolti nei paramenti purpurei, simboleggiante i1 fuoco dello Spirito Santo, scendevano la gradinata marmorea dell'altar maggiore per mettersi a sedere, quasi incuranti dei Signori di Lei, che si avanzavano tronfi e pettoruti in mezzo alla Chiesa fra gli sguardi furtivi del popolo intimorito.

Il capo, giunto vicino ai banchi riservati, si voltò, parlò con quelli del seguito, poi s'avvicinò ai sacerdoti; ma il coro cantava con voce poderosa il canto iniziato dagli angeli e impediva ai celebranti di comprendere ciò che desiderasse il signore di Lei.

Allora questi, indignato s'affacciò al coro e impose ai cantori di tacere. Nella chiesa profumata d'incenso ci fu un silenzio pieno di attesa e il prepotente capo di Lei, stando davanti all'altare ed ai sacerdoti con la spada sguainata indicò la sacrestia e gridò: « Rientrate e ricominciale la Messa ».

I sacerdoti, pro bono  pacis, ubbidirono; ma quando uscirono per ripetere l'introito, il prepotente nuovamente gridò: « Chi v'ha comandato di vestirvi di rosso? mettete i paramenti da morto ».

Tra i fedeli si alzò un forte mormorio: si sentì qualche voce osservare: « Oggi non e giorno di lutto; ma giorno di gaudio e di letizia ».

Il Signore di Lei volse il fiero cipiglio verso i devoti, che subito tacquero impauriti, mentre uno sgherro lasciava cadere a terra l'alabarda producendo un fracasso metallico che si ripercosse nelle volte della chiesa e nei cuori dei buoni Trasqueresi, che osservarono bene il brutto ceffo del padrone di Lei.
Aveva un occhio guercio e giallastro, un naso schiacciato, la barba rossiccia e rara, molte cicatrici, che sembravano tante cuciture, cicatrici, non riportate  in guerre gloriose per la salvezza del paese; ma in litigi, tafferugli e scorribande per mantenere ed accrescere il suo feudo che governava con la ferocia e il terrore.

Il sacerdote ardì osservare che la Chiesa, nella solennità di Pentecoste, ordinava i paramenti rossi per simboleggiare il fuoco dello Spirito Santo, l'ardore degli Apostoli, il sangue preziosissimo di Cristo e dei Martiri. « Ma che Martiri, ma che sangue, interruppe il Capo spavaldo; mettetevi i paramenti da morto e fate presto, che io non ho tempo da perdere! » 

Ripieni di santo sdegno i sacerdoti rientrarono nella sacrestia, indossarono le vesti nere e usciti nuovamente ai piedi
dell'altare iniziarono la Messa da morto e i cantori del coro, invece del Gloria, con voce grave intonarono il Requiem; mentre il prepotente di Lei  col suo seguito usciva dal tempio per recarsi al Castello; ma non vi giunse; perchè il cavallo superbamente bardato che lo portava, mise un piede in fallo, perdette l'equilibrio e precipitò con gran frastuono giù per un burrone col Signore di Lei in groppa.
Forse quella Messa da requiem fatta celebrare a dispetto del rito non poteva servire che ad un prepotente.