Ul tesor at Balma Ciosa (Tratto dal libro: Novelle e Leggende Ossolane di Adolfo da Pontemalio del 1926)
Lo dicevano tutti che il prete mandato a Balma Ciosa in castigo dai suoi superiori aveva portato con se un sacchetto di monete d'oro, che poi aveva sepolte in una gran pignatta prima di morire.
Del resto la prova c'era e indiscutibile. Quel lumicino che si vedeva ogni anno la notte di Santa Lucia nelle vicinanze della Balma che cos'era se non una manifestazione dello spirito del povero prete, il quale non poteva godere la pace eterna fino a tanto che qualche cristiano non fosse riuscito a scoprire quel tesoro ormai divenuto possesso del diavolo?
Barba Carlo, che la sapeva molto lunga, sia perché leggeva “I mirabili segreti di Alberto Magno” sia perché consultava “L'almanacco perpetuo”, raccontò una sera che ai tempi di sua gioventù aveva visto un'altra rivelazione del tesoro nascosto; cioè un tovagliolo disteso in terra con sopra una quantità di foglie secche.
Quel segnale non compariva che una volta all'anno e rimaneva pochissimo tempo, cioè tanto quanto aveva impiegato il prete a sotterrare la pignatta: un quarto d'ora al massimo. Fortunato (aveva soggiunto Barba Carlo, scandendo ben bene le parole), fortunato chi può essere presente in quel momento, perché quelle foglie gialle di faggio basta toccarle con un oggetto benedetto che subito si cambiano in sonanti marenghini!!!
Tonio ci credeva al racconto di Barba Carlo. Perciò andava sempre solo a pascolare le capre; perché solo voleva vedere il tovagliolo ripieno di foglie gialle e solo possedere il tesoro. Gli altri pastori si erano impermaliti del suo isolamento e lo chiamavano il Selvatico; ma Tonio non badava a quelle chiacchiere: il tesoro gli stava troppo a cuore.
Quanti giorni trascorse con gli occhi istintivamente rivolti alle selve indicate da Barba Carlo, senza la soddisfazione di vedere il tovagliolo!
Quella mattina le capre avevano infilato il sentiero tortuoso che finisce sopra i Funtanitt. Il povero Tonio era corso a destra e a sinistra, innanzi e indietro per far voltare direzione a quelle bestiaccie, ma per risultato non ebbe che le mani graffiate e i calzoni strappati. Il diavolo ci aveva messo la coda.
- Miracolo che sei venuto su di qua al pascolo! - esclamarono sorpresi i pastori quando videro comparire il Selvatico tutto sudato e affannato.
- Cosa volete, al venerdì comanda il diavolo.
- Perché? Perché?
- Perché ho dovuto seguire la volontà di quelle bestiaccie e rinunciare alla mia.
- Han ragione loro, povere capre, le porti sempre, sempre alla Balma!
Poi consolati che sei giunto propizio per darci una spiegazione. Vedi dentro a Balma Ciosa quel coso bianco-giallognolo, «che usmeia un birin 'pena nascù? » Sai cos'è?
Tonio trasalì, cambiò colore, strinse istintivamente la medaglia benedetta che teneva sempre nel taschino, come se volesse lanciarla sulle foglie, non pensando che la distanza superava il chilometro; ma cercò di nascondere il turbamento ai compagni e rispose: mi pare che sia un cane morto.
- Toh, toh, è scomparso, si vede, che non era un cane morto.
Maledette capre, diceva fra sé Tonio, avrei potuto avere la fortuna e invece... Ma ho visto dov'era il tovagliolo, il tesoro l'avrò lo stesso.
Venuto a casa confidò il segreto alla Cecca, sua fidanzata.
- Questa sera vado a prendere il tesoro del prete, ma devi venire anche tu per fare la sentinella, mentre io scavo, perché se mi capita addosso qualcuno sono costretto, per lo meno, a cedere parte del tesoro, se poi viene a saperlo il Governome lo mangia tutto.
- Io di notte non ci vengo, ho paura.
- Tu ci devi venire; perché da solo non ci posso andare e se chiamo un altro devo pagarlo chi sa quanto. Se vieni ti compero gli orecchini più grandi che sono esposti nelle vetrine di via Briona. Poi senti, il mio tesoro sarà anche tuo, tanto a maggio ci sposiamo.
Il giovane tanto disse e tanto fece che la buona Cecca acconsentì di andare.
La notte era calma e serena. Dietro i monti merlati come antichi castelli, muta e stupefatta sorgeva la luna.
Tonio e Cecca camminavano svelti per un viottolo fiancheggiato da ginestre e biancospini.
- Ecco, il tovagliolo con le foglie gialle era là, sono sicuro, sicurissimo. Tu Cecca, fermati in questo svolto e sta' all'erta; se viene qualcuno fischia e con una corsa mi raggiungi. Siamo intesi!
- Fai presto, che io ho paura.
- Non temere, è questione di pochi minuti.
Tonio disparve e un minuto dopo i colpi di zappa producevano un'eco strana su per i burroni che nel silenzio della notte sembrava un lamento umano. Un buon quarto d'ora era già trascorso e i colpi di zappa continuavano sempre più forti.
- Vieni! - gridò finalmente Tonio.
La Cecca in quattro salti lo raggiunse.
- Che monete sono? Quante sono?
- Niente! Vedi, una povera croce di stagno!!!
- Dunque Barba Carlo, ti ha ingannato?
- No, rispose una voce misteriosa, quella era l'unico mio tesoro.
Tonio e Cecca spaventati si voltarono di botto per vedere chi avesse risposto. Un'ombra alta e nera passò loro vicino.
- Misericordia, è l'anima del prete! - esclamarono contemporaneamente i due fidanzati e s'inginocchiarono sulla terra smossa, allora, per recitare un De Profundis.
Mentre la mesta preghiera usciva sommessa da quelle labbra dei credenti, l'ombra nera si dileguava fra un nembo di luce giù in fondo la selva.
La penitenza del prete era finita.